Concordo sul fatto che la situazione sia complessa. Mi limito a proporre uno strumento specifico, a basso costo di avvio, che riguarda un ambito definito, quello delle pensioni, sul quale ritengo di avere una certa competenza maturata in ambito lavorativo.
I punti da cui parto sono due: in ambito previdenziale si riscontra una grande ignoranza relativamente a quello che c'è da aspettarsi per il futuro (soprattutto per quanto riguarda i soggetti dai 40 anni in sotto) e esistono degli strumenti integrativi della previdenza pubblica per i quali la legge prevede uno specifico ambito di azione da parte degli enti pubblici territoriali e che sono stati già attivati da due regioni.
Per quanto riguarda il primo punto faccio riferimento a due inchieste condotte dalla Bocconi nel 2005 e da Mefop e Cnel nel 2008, che allego. Probabilmente ce ne sono anche di più recenti, ma non ho motivo di credere che i risultati siano molto diversi. Le interazioni della vita di tutti i giorni con miei coetanei o persone di simile età di diverse estrazioni sociali (specifico che ho 41 anni e due figli piccoli, il mio campione di osservazione è costituito in prevalenza da mamme, maestre d'asilo, tate, amici, colleghi) mi conferma in questo convincimento. Le persone non si aspettano nei fatti un trattamento previdenziale molto diverso da quello garantito in passato ai nostri genitori. E comunque il problema è percepito come lontano nel tempo e quindi non urgente. A questo si accompagna una diffusa ignoranza in materia di investimenti in strumenti finanziari.
Mi perdoni la distorsione professionale, ma faccio l'insegnante e credo sia utile ricapitolare due concetti.
A partire da chi ha cominiciato a lavorare nei primi anni 90, gente che quindi andrà in pensione nel 2030, non fra un secolo, la pensione sarà calcolata sulla base dei contributi versati. Il sistema funziona grossomodo così: ai versamenti che ciascun lavoratore effettua periodicamente a titolo di contributi sono aggiunti degli "interessi" che tengono conto del fatto che l'ente previdenziale (l'INPS) ha avuto a disposizione le risorse fino al momento del pagamento della pensione. Il tasso di "interesse" che l'INPS conteggia è pari al tasso di crescita del PIL nominale calcolato su base quinquennale, cioè al tasso di crescita di medio periodo dell'economia italiana, inclusa l'inflazione. Tanto per essere chiari: se il paese non cresce sui contributi non viene riconosciuto alcun incremento o l'incremento riconosciuto è inferiore al tasso di inflazione. Il tutto va avanti finché il lavoratore non matura il diritto alla pensione e provvede a chiederla. A questo punto l'INPS conteggia le somme che fanno riferimento allo specifico soggetto, sommando a tutti i contributi quelli che ho chiamato "interessi" e spalma il totale sul numero di anni in cui presumibilmente il lavoratore resterà in vita, calcolando così la rata di pensione annua.
Non sappiamo oggi a quale percentuale dell'ultima retribuzione corrisponderà la nostra pensione futura (quello che in gergo si chiama "il tasso di sostituzione") perché come detto sopra dipende dal tasso di crescita dell'economia italiana.
La Ragioneria generale dello Stato pubblica annualmente dei numeri in proposito. Allego quelli contenuti nel documento del 2012. Per chi fosse interessato: l'intero documento si trova sul sito del ministero alla url http://www.rgs.mef.gov.it/VERSIONE-I/Attivit--i/Spesa-soci/Attivit--d/2012/index.html). Per chi volesse dare un'occhiata al documento allegato, la sezione D contiene i tassi di sostituzione per diverse categorie di lavoratori, mentre nella sezione A, nella tabella relativa al quadro macroeconomico ci sono le ipotesi sulla crescita. Un'osservazione su queste ultime: secondo la Ragioneria generale dello Stato l'economia italiana dovrebbe crescere su base reale (cioè senza tenere conto del tasso di inflazione) dell'1,8% nel quinquennio 2010/2015 - quindi recuperando nei due anni e tre quarti che ci mancano buona parte della recessione del periodo precedente, di quasi il 9% nel quinquennio 2015/2020 e del 10% circa nel quinquennio 2020/2025. Obiettivi che non sembrano alla nostra portata e non solo per la crisi, tenuto conto che nel quinquennio 2001/2006, quando la crisi non c'era, secondo i dati OCSE il paese è cresciuto su base reale del 5,3%.
Per tornare a noi, avrà una pensione più elevata chi ha versato di più, cioè chi durante la carriera lavorativa ha guadagnato di più (la contribuzione è una percentuale della retribuzione o del reddito lordo a fini IRPEF per i lavoratori autonomi) e/o ha avuto una carriera continua, cioè ha potuto essere puntuale nei versamenti perché ha sempre avuto un lavoro. Ci sono categorie di soggetti che versano strutturalmente poco - perché non è loro richiesto, come nel caso dei lavoratori domestici, o perché guadagnano poco o perché non hanno una continuità lavorativa, come i lavoratori atipici. Purtroppo il mercato del lavoro è caratterizzato sempre di più da figure di questo tipo.
Come proteggere questi soggetti quando andranno in pensione? Se il paese fosse in crescita spettacolare gli incrementi sulla contribuzione consentirebbero una forma di compensazione. Ma non siamo in questa situazione e francamente ho qualche riserva sul futuro immediato.
L'alternativa è quella di incentivarli a risparmiare mentre lavorano, in modo da avere a disposizione un'integrazione alla pensione quando verrà il momento in cui avranno un'età anziana e non saranno più in grado di lavorare.
E qui arriva il secondo punto.
Gli strumenti per creare un'integrazione alla pensione pubblica, ci sono e sono ben regolati. Funzionano nei fatti in modo simile a quanto ho descritto sopra per l'INPS, solo che l'incremento sulla contribuzione versata dipende dal risultato dell'attività di investimento effettuata con le risorse versate dal lavoratore (e peraltro ai fondi pensione possono partecipare anche i non lavoratori). La loro scarsa flessibilità - a parte alcuni specifici casi si può accedere alle somme accantonate solo al momento del pensionamento - è compensata da un forte beneficio fiscale.
Perché dovrebbe essere la regione Lombardia a creare un fondo pensione chiuso, quando questi strumenti sono già proposti da banche, assicurazioni, sgr, associazioni di categoria?
Per due motivi:
1) perché le soluzioni offerte da banche, assicurazioni, sgr sono costose visto che operano a scopo di lucro. L'entrata di un fondo chiuso territoriale nel settore creerebbe incentivi all'abbassamento dei costi da parte dei privati che propongono analoghi prodotti o li incentiverebbe al miglioramento della gestione degli investimenti;
2) perché ai fondi offerti dalle associazioni di categoria, che sono meno costosi, si può aderire solo se si possiedono specifici requisiti (es. l'appartenenza a un certo ambito produttivo o a una certa azienda) per cui non tutti i residenti in territorio lombardo possono aderire.
A mio parere la regione Lombardia dovrebbe fare due cose:
- fare formazione in ambito previdenziale e magari anche finanziario, sul modello di PensPlan del Trentino Alto Adige o prendendo spunto da altre esperienze. Naturalmente si tratta di trovare delle modalità adeguata per farla funzionare. Per esempio quella scolastica non sembra utile, probabilmente perché troppo precoce;
- creare un fondo chiuso in cui la partecipazione da parte delle fasce "deboli" sia incentivata mediante una contribuzione aggiuntiva da parte della regione stessa, come fa il Trentino Alto Adige.
Aggiungo una cosa. Credo che, se ci fosse interesse, la proposta potrebbe essere portata avanti con una modalità bipartisan. La riforma che ha dato competittività alla previdenza complementare è la Maroni del 2004, a firma dell'attuale presidente di regione, che credo sia persona sensibile sul tema.