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All'analisi e agli spunti forniti da Stefano Retali, possiamo aggiungere che a livello di scuola secondaria, il sistema della formazione professionale (per altro di diretta responsabilità regionale) è l’area dove si annidano le radici della progressiva esclusione sociale. Non solo la sua minor durata non impedisce il fenomeno dell’abbandono e del mancato conseguimento scolastico: ancora oggi nella fascia d’età 25-34 anni un quarto dei lavoratori lombardi non ha conseguito alcun titolo di studio secondario, inclusa la formazione professionale (fonte: Rilevazione Istat sulle forze di lavoro 2011). Ma anche tra coloro che frequentano la formazione professionale regionale i livelli di apprendimento sono molto bassi: quasi il 60% degli studenti quindicenni che frequentano i centri di formazione professionale lombardi ha un livello di competenza equivalente all’analfabetismo funzionale (corrispondenti ai livelli 1 e 2 dell’indagine Pisa relativa al 2009). Senza dimenticarci che uno su quattro di questi studenti è di origine straniera.

 La scuola lombarda sta quindi lasciandosi per strada una quota di studenti che sembrano avviati ad un destino di marginalità sociale, che può essere arrestato e rovesciato. Se la risorsa principale della regione è il proprio sistema di piccola e media impresa, con i diversi distretti industriali a diversa vocazione, possono esser promosse esperienze formative in collaborazione con i rappresentanti del mondo del lavoro, in cui l’ente pubblico garantisce una formazione generalista di elevata qualità, e delega ad enti bilaterali da costituire sui territori la formazione lavorativa. L’obiettivo della scuola non deve essere quello di piegare le persone svantaggiate al lavoro, ma di favorire l’esperienza lavorativa per tutti gli studenti, esattamente sulla falsariga del modello tedesco.